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“Perdite nelle condotte che conducono a uno spreco di oltre il 50% della nostra acqua; ritardi negli interventi che si prolungano per settimane e a volte per mesi, malfunzionamento dei depuratori che ha come risultato l’erogazione, per lunghi periodi di acqua non potabile e, anche quando giungono i comunicati di normalità dei parametri l’acqua che scende dai rubinetti è spesso di colore giallastro o addirittura fangosa, perdite nella rete fognaria con le immaginabili conseguenze di tipo igienico-sanitarie, bollettazione irregolare e con importi eccessivamente alti e assolutamente irragionevoli se rapportati al normale consumo delle famiglie, slacci selvaggi che lasciano numerose famiglie, spesso con anziani, disabili e minori, con i rubinetti a secco per lunghi periodi”. E’ quanto denuncia a gran voce l’Unione Comuni Barbagia che si fa portavoce del diffuso malcontento tra le popolazioni del proprio territorio “per i continui disservizi nella gestione del servizio idrico”.
“Tutti i problemi evidenziati – sottolinea l’Unione Comuni Barbagia - sono conseguenza di una struttura (ambito unico) e di una gestione inadeguate e inefficienti. La Regione Sardegna non può ignorare la realtà e deve intervenire per garantire, come previsto dall’art.1 della LR 6 dicembre 2006, n.19, che l’acqua è un patrimonio da tutelare in quanto risorsa limitata di alto valore ambientale, culturale ed economico – l’accesso all’acqua è un diritto umano, individuale e collettivo e la regione ne regolamenta l’uso al fine di salvaguardare i diritti e le aspettative delle generazioni future”.
In particolare, l’Unione Comuni Barbagia chiede: l’immediata applicazione della prescrizione ANAC , ossia l’attribuzione del 100% delle quote del gestore unico ai comuni; la garanzia che l’acqua della Sardegna rimanga bene pubblico, impedendo l’ingresso sui mercati finanziari e l’emissione di prestiti obbligazionari che condurrebbero alla svendita delle nostre risorse idriche; il decentramento reale delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie, che garantiscano ai territori l’autonomia gestionale sotto il controllo di consorzi di comuni; il monitoraggio capillare delle infrastrutture preposte all’erogazione del servizio idrico e il rifacimento di tutte le opere diventate obsolete e inadeguate; la gestione integrata delle dighe, il completamento delle grandi incompiute e l’affrancamento dallo strapotere dell’ufficio dighe che impartisce ordini dalla capitale senza tenere conto delle peculiarità del territorio sardo e la creazione nelle aree ricche di sorgenti, quali quelle del nuorese, di centri di ricerca per un utilizzo più efficiente ed efficace delle risorse idriche a vantaggio dell’intero territorio sardo”.