Fra la grande varietà di creature immaginarie appartenenti alla mitologia della Sardegna emerge una figura del tutto singolare, alla quale si attribuiscono numerose leggende e sulle cui origini regna tutt’oggi grande incertezza. Si tratta de sa musca macedda, letteralmente “mosca macellaia” o, secondo alcune fonti, “mosca matta”. Nella vita di tutti i giorni la si associa a un comune e fastidioso insetto, ma in questa particolare versione consegnata dall’immaginario isolano assume connotazioni spaventose e mortali. Quali caratteristiche facevano sì che destasse paura? Sa musca macedda era un enorme insetto, grande quanto la testa di un bue, fornita di ali poderose, di un velenosissimo pungiglione e di due o più occhi rosso fuoco. Il ronzio di questa inquietante creatura era percepibile a distanza di chilometri, anticipando l’imminente pericolo. 

STORIA DE SA MUSCA MACEDDA. Sono diverse le leggende che la ritraggono nella cornice di una Sardegna antica. Si narra, ad esempio, che nelle segrete dei castelli o nei luoghi sacri fossero custoditi due forzieri. In uno di questi si trovava il tesoro, mentre l’altro era pieno di musca macedda. Questo stratagemma allontanava ladri e predatori del mare, che spaventati dall’idea di sbagliare forziere preferivano non rischiare. La scrittrice e studiosa di tradizioni popolari Dolores Turchi, narra del castello di Navarra, a Lotzorai. Pare fosse stato costruito per volere della principessa Lacana che, lasciata sola dal marito partito in guerra, vi si trasferì per stare al riparo dai nemici. Finita la guerra, la nobile raggiunse il coniuge, nascondendo nel maniero un tesoro che sarebbe tornata a prendere successivamente. Temendo tuttavia che gli scaltri servitori potessero impadronirsene, a fianco al prezioso forziere ne sistemò un altro contenente uno sciame di musca macedda, avvisando tutti tramite una lettera. In questa, inoltre, la principessa avvertiva che l’apertura della cassa sbagliata avrebbe provocato la morte degli abitanti dei sette villaggi più vicini al castello. Nessuno osò mai avvicinarsi e i servitori, terrorizzati al solo pensiero che qualcuno potesse farlo, decisero di stabilirsi in una località adiacente costruendo nuove abitazioni, in modo da vegliare sulla fortezza. Secondo la tradizione, da questo primo insediamento ebbe origine il paese di Lotzorai.

Un’altra leggenda riguarda il castello di Monreale, fra Sardara e San Gavino, un tempo imponente fortezza con mura possenti ed eleganti torrioni. Il padrone, nobile ricco e potente, malvagio e arrogante, era detestato da tutta la popolazione, al punto che in tanti sarebbero stati disposti a ucciderlo. Consapevole di ciò, per paura di cadere in qualche imboscata passava le giornate rinchiuso dentro il castello, attorniato da una schiera di fedeli servitori. Di rado usciva per recarsi a Oristano, servendosi di un tunnel sotterraneo appositamente e segretamente costruito perché potesse raggiungere direttamente la città. Si narra che il cunicolo esista ancora e che sotto le rovine sia sepolto il tesoro del castellano, rinchiuso in una botte. Nessuno, tuttavia, ha intenzione di cercarlo, poiché anche in questo caso pare sia affiancato da un altro, uguale, contenente musca macedda.

Ma sono tante altre le credenze legate alle vicende di questo essere immaginario: dal tempio magico de sa Domu de Urxia, vicino a Esterzili, alla chiesa dell’antica città di Valenza, nei pressi di Nuragus, o ancora la leggenda legata al castello di Salvaterra, a Iglesias, molto simile nel racconto a quella della fortezza di Navarra, con l'unica differenza che la mosca scompare grazie a particolari rituali religiosi di un sant'uomo e che se mai dovesse tornare causerebbe l'apocalisse. 

ORIGINE DEL MITO. Ma da cosa nasce il racconto de sa musca macedda? Secondo alcuni studi potrebbe essere correlata con la zanzara anofele, portatrice di malaria, una delle principali cause di mortalità in Sardegna fino al XVII-XVIII secolo. L’ipotesi è avvalorata dal fatto che questa credenza trovi maggiore diffusione nelle zone costiere, paludose e pianeggianti, indicate come le più pericolose, e che invece montagne e colline siano identificate come sicure grazie alla loro altitudine. Pare questa dunque la versione più accreditata sull’origine del mortale insetto della tradizione sarda, vera e propria arma di difesa in un’epoca in cui credenze ataviche erano radicate nella cultura popolare isolana e che tutt’oggi sopravvivono, animando i racconti e stimolando la fantasia.