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Lettera di una lettrice - "In un mare di distanza dalle parole della quotidianità, forse c'è tempo per storie un po' più lunghe come quella capitata a me, in un viaggio iniziato con la malattia…
Sono Mariella, una trentunenne solare, vivo in un paesino bellissimo del Logudoro in provincia di Sassari, da 5 anni combatto una malattia rara che mi ha colpita quando stavo frequentando il secondo anno di laurea magistrale in Pedagogia a Bologna.
La vita che sembrava sorridermi, improvvisamente si è fermata. Sono riuscita ad avere una diagnosi dopo 11 mesi di forti dolori e sofferenze. Inizialmente mi sono sentita estremamente fortunata perché finalmente sapevo contro quale mostro dovevo combattere e soprattutto avevo e ho accanto a me due genitori fantastici che mi hanno sempre sostenuta, che lottano e patiscono con me e per me e un meraviglioso fratello che nonostante la giovane età mi ha sempre incoraggiata a non arrendermi.
Sono stati anni difficili in cui è cominciata la trafila degli ospedali e ricoveri, ho dovuto affrontare terapie pesanti che mi hanno messa a dura prova emotivamente e soprattutto fisicamente perché il mio aspetto è completamente cambiato. Ammetto che ho avuto momenti di sconforto in cui il mondo mi sembrava crollare addosso e spesso mi chiedevo perché fosse successo proprio a me.
Mai avrei pensato che così giovane, a 27 anni, ospedali e sofferenze potessero diventare parte di me. È un'esperienza che nonostante tutto mi ha reso una persona migliore, sicuramente più forte, combattiva ed empatica, aspetti fondamentali per affrontare una vita che si è rivelata un po' severa ed utili per svolgere la mia professione da educatrice.
Il 2 marzo 2020, come ogni anno, sono partita per un ricovero programmato a Reggio Emilia, non pensando e forse anche sottovalutando quello che sarebbe successo al nostro Paese solo qualche giorno dopo. In realtà ero a conoscenza della situazione in Lombardia, del fatto che Codogno fosse stata chiusa per via del Coronavirus ma sembrava talmente lontano da noi che ho deciso di partire serenamente, con le dovute precauzioni e con il consenso dei miei medici. I primi giorni di degenza sono stati molto tranquilli e tutto sembrava sotto controllo ma da sabato 7 marzo, quando Reggio Emilia è stata dichiarata zona rossa, tutto è cambiato.
Eravamo circondati da quasi tutto il personale sanitario bardato da mascherine, nessuno poteva più entrare o uscire, le visite erano pressoché vietate e in reparto c'erano sempre meno pazienti perché venivano dimessi. Noi ricoverati non ci rendevano conto di quello che effettivamente stesse succedendo fuori e i medici hanno sempre cercato di rassicurarci e di non trasmetterci la tensione che si respirava all'esterno.
Qualche giorno dopo, mi è stata data la notizia che ormai aspettavo da tempo: il mio corpo stava finalmente rispondendo alle terapie, il nuovo farmaco stava funzionando e io potevo tirare un sospiro di sollievo. Ero felicissima e quasi egoisticamente mi sono dimenticata di quello che stava succedendo attorno a me, anche se i dottori dopo la lieta notizia mi hanno consigliato di tornare subito a casa perché stavo rischiando di rimanere bloccata lì, infatti solo qualche ora dopo sarebbe stata dichiarata la pandemia, molti voli sarebbero stati cancellati e i reparti dovevano essere liberati per accogliere le tante emergenze che dovevano arrivare.
Tutti i ricoveri mi hanno sempre regalato forti emozioni arricchendo il mio bagaglio di esperienze e facendomi conoscere persone splendide con le quali confrontarmi e condividere il nostro particolare percorso. La mia fortuna, questa volta, è stata quella di avere una compagna di stanza sarda (come me) molto saggia e tranquilla e la sua dolcissima figlia con le quali abbiamo deciso di affrontare il lungo viaggio della speranza organizzato dal mio punto di riferimento di sempre (mia madrina Antonella).
Purtroppo poche ore prima della partenza il nostro volo è stata cancellato, quindi dopo una notte di riflessioni e preghiere abbiamo deciso di tornare a casa con le dovute precauzioni, mettendo a rischio le nostre già precarie condizioni di salute, attraversando una fetta dello stivale per riuscire a prendere un aereo che ci riportasse in Sardegna.
Quando abbiamo lasciato l'ospedale, ho capito realmente cosa stesse succedendo alla nostra Italia. Reggio Emilia era vuota, c'era un silenzio assordante, quasi soffocante, le poche persone in giro avevano il viso coperto dalla mascherina e occhiali scuri, quando ho alzato gli occhi al cielo, sono stata colpita dalla bellezza degli alberi in fiore e ho pensato a quanto fossero sprecati in mezzo alla città fantasma dove nessuno potesse ammirarli. Anche le temperature erano miti, tipiche di una giornata di maggio inoltrato.
Effettivamente, stava arrivando la primavera ma sembrava che nessuno se ne fosse accorto, una primavera surreale, quasi maledetta. Proprio in quel momento ho iniziato ad avere paura e nonostante la forte stanchezza che il ricovero mi aveva lasciato, dovevamo scappare, tornare a casa e metterci al sicuro. Non so come ma mi sono ritrovata ad avere le forze di un supereroe e a trascinare 2 valigie senza sentire stanchezza e dolore, sembrava quasi che stessimo scappando da una guerra.
Abbiamo attraversato varie città e due aeroporti per riuscire a prendere il volo che ci riportasse a casa col costante timore che ci potessero cancellare un altro volo da un momento all'altro. Ogni spostamento corrispondeva a un’autocertificazione nuova e quando finalmente siamo arrivate ad Alghero purtroppo io e le mie compagne di viaggio non ci siamo potute salutare ma ci siamo promesse di sentirci telefonicamente.
Ero quasi a casa dopo 15 ore di spostamenti ma non mi sono sentita subito al sicuro. Ci hanno controllato uno ad uno in modo molto accurato, l'aeroporto era vuoto e i nostri cari ci stavano aspettando fuori perché non potevano entrare, qualche ora prima era intervenuto il presidente Conte dichiarando tutta Italia zona rossa. Preso il bagaglio ho iniziato a correre come una disperata fino a quando non ho visto mio padre tutto bardato, sembrava quasi un astronauta e mi faceva cenno di seguirlo, così ho fatto senza avere il tempo di abbracciarlo (perché non potevo) e raccontargli quanta paura avessi provato in quella giornata interminabile.
È stato veramente un lungo viaggio, concluso qui, all'interno di quattro mura, in cui gli unici abbracci e contatti sono quelli virtuali. Infatti ora mi trovo a casa, anzi, non proprio a casa mia, ho dovuto cambiare domicilio per rispettare la quarantena in solitudine e finalmente sono al sicuro. Non smetterò mai di ringraziare le persone che mi stanno dando ospitalità e i miei genitori (che sono la mia vita), in meno di 24 ore hanno infatti reso la mia nuova dimora confortevole, calda, ospitale e comoda.
Oggi è il mio undicesimo giorno di quarantena e ho deciso di riportare la mia esperienza perché potrebbe essere d'aiuto a persone che si trovano nella mia stessa condizione. In tutti questi anni e a maggior ragione in questi giorni di solitudine, ho capito che si può vivere, amare, dare e lavorare anche se qualcosa improvvisamente ha ostacolato il nostro percorso ribaltando completamente i nostri piani e le nostre abitudini e quel qualcosa pian piano diventerà parte di noi rendendoci più forti nell'affrontare situazioni dure come queste.
Durante questo periodo ho percepito il desiderio di conforto da parte di tante persone, non solo degli amici e affetti più cari, per questo volevo ringraziare tutti indistintamente, questo sostegno mi servirà sempre perché la mia è una lunga battaglia. Mi sono avvicinata alla fede, ho pregato tantissimo ricordando costantemente il sorriso più bello che abbia mai conosciuto, quello di Virginia, la bambina che per più di un anno mi ha regalato momenti di estrema dolcezza, la principessa del mio cuore, la terapia ad ogni male, una piccola grande guerriera che oggi ci guarda dal cielo e sempre rimarrà tra i ricordi più belli della mia vita.
Volevo concludere ricordando, in primis a me stessa, che la vita è bellissima, quindi, quando tutto questo finirà, perché finirà, cerchiamo di non rimandare i nostri impegni (da quelli più banali a quelli più importanti), cerchiamo di tendere la mano a chi è in difficoltà, emozioniamoci, lasciamoci andare e coinvolgere da quello che la vita ci dà senza pensare troppo a ciò che ci manca. Questa esperienza, per quanto assurda e difficile, ci farà sicuramente capire che noi non comandiamo e metterà in crisi la convinzione che abbiamo avuto per tanti anni di poter controllare e dominare tutto.
La vita è una sola e non sappiamo quanto essa sarà lunga e aprire gli occhi tutti i giorni non è una cosa scontata. Sono sicura che ne usciremo forti, responsabili, consapevoli, sicuramente migliori e ci dedicheremo di più agli affetti cari. La battaglia è ancora molto lunga e dura ma tutti insieme ce la faremo, per ora restiamo a casa rispettando il lavoro di chi sacrifica la vita per noi negli ospedali e ringraziamo anche il lavoro di tutte le persone che non ci fanno mancare i beni indispensabili. Tutto andrà bene!".