Viaggio ai confini della follia con “Enrico IV - una commedia” dal celebre dramma di Luigi Pirandello, nell'adattamento di Fabrizio Sinisi, con disegno luci e consulenza scenotecnica di Lucio Diana, sound design e fonica a cura di Guglielmo Diana, per un dramma incentrato su un raffinato meccanismo metateatrale, con un gioco di specchi tra verità e finzione e una riflessione sull'umana vulnerabilità davanti all'inesorabile scorrere del tempo, con la regia di Giorgia Cerruti (che cura anche i costumi).

L'opera fa parte del circuito "La Grande Prosa 2024/2025" del CeDAC Sardegna, impegnato da decenni nella valorizzazione di realtà teatrali e di spettacolo non solo nelle grandi città ma anche nelle comunità isolane più piccole.

Dopo la prima regionale (8 aprile) al Teatro del Carmine di Tempio Pausania, la tournée è proseguita il 9 aprile al Teatro Civico “Oriana Fallaci” di Ozieri, il 10 aprile al Teatro Civico “Gavì Ballero” di Alghero e, infine, l'11 aprile al Teatro “Antonio Garau” di Oristano.

Una inedita versione di "un’opera nera" -sottolinea la regista– venata da un cupo umorismo "che pulsa sotterraneo e che scompone le apparenze, che individua il contrario delle cose, per rispondere a un bisogno di cogliere le contraddizioni della realtà", in cui emergono pensieri e stati d'animo, tra il ricordo di un amore giovanile e i molteplici inganni e tradimenti, in una storia intricata e ricca di colpi di scena, in bilico tra farsa e tragedia, normalità e follia".

"Un ardito adattamento che affida da subito al pubblico il segreto del dolore di vivere - prosegue Giorgia Cerruti – assumendo la pazzia consapevole come arma di smascheramento del mondo, dove il personaggio “senza nome” che si fa chiamare Enrico IV diventa un osservatore, dall'interno di una gabbia, di un universo crepuscolare, un uomo invisibile per gli altri nella sua vera natura. Ma lui vede bene tutto e tutti!" .

In “Enrico IV - una commedia” le parole di Pirandello emanano stati dell’animo, non dicono fatti e non espongono apollinee tesi filosofiche ma stendono i fili del tempo sui rapporti tra le persone. Un uomo diviene prigioniero della propria mente in seguito a un “incidente” - o meglio - di un'atroce beffa trasformatasi in tragedia durante una cavalcata in costume: risvegliatosi dopo la caduta, il giovane aristocratico si identifica con l'imperatore germanico di cui indossava la maschera e per un lungo periodo resta immerso nella sua “recita”, assecondato dalla famiglia in attesa di una improbabile “guarigione”.

Una vicenda esemplare e paradossale insieme, un caso clinico quasi da manuale, in cui il trauma fisico produce uno squilibrio psichico e il protagonista si smarrisce in una sorta di “sogno” a occhi aperti, nei panni di quell'Enrico IV di Franconia, re dei Romani a capo del Sacro Romano Impero, poi scomunicato dal papa Gregorio VII e riammesso in seno alla Chiesa per intercessione di Matilde di Canossa, trascorrendo la sua esistenza in un immaginario Medioevo. Una sorta di “incantesimo” che improvvisamente si dissolve al cospetto dell'amara realtà: nello straordinario meccanismo metateatrale pirandelliano, tutti gli “attori” presenti al momento della caduta si ritrovano per tentare un azzardato esperimento, condotto da uno psichiatra, con l'intento di restituire la ragione al paziente attraverso un nuovo shock per far riaffiorare la memoria e la coscienza di sé.

Tuttavia, Enrico IV, rinsavito all'insaputa di tutti, sceglie di perseverare nella sua “follia” ormai consapevole degli anni perduti e dell'amore rubato e compie la sua “vendetta” con un magnifico coup de théâtre, quasi un “delitto” perfetto, svelando e insieme rinnegando la sua ritrovata lucidità.

Nella prospettiva capovolta del singolare “eroe” del dramma, vittima e carnefice di se stesso, che sceglie di rifugiarsi nell'alienazione mentale rinunciando così a una vita per lui svuotata di senso, il mondo dei “sani” si traduce in fondo in un assurdo rituale, un gioco di maschere in cui ciascuno recita la sua parte per salvare le apparenze e mantenere una rassicurante idea di “normalità”, attenendosi alle regole e alle convenzioni della società.

"Apparentemente l'Enrico IV è una tragedia - ricorda la regista - ma c’è un Umorismo nero e grottesco che pulsa sotterraneo e che scompone le apparenze, che individua il contrario delle cose, per rispondere a un bisogno di cogliere le contraddizioni della realtà. E poi c’è il Teatro – la finzione, il travestimento, lo svelamento – che Pirandello dispiega a piene mani e di cui è primo spettatore divertito. Ecco, abbiamo cercato di portare questo magma verso temperature che definirei shakespeariane, dove alto e basso si uniscono e rivelano “questa disperata passione di essere nel mondo”, come direbbe Pasolini. L’architettura dell’opera mi ha rivelato che cercavo il modo di fare uno spettacolo sul “riconoscersi”, al di là del tempo, delle trasformazioni, delle sembianze. Se ti riconosco esisti ma soprattutto esisto io; lo specchio in cui guardiamo è sempre e soltanto il volto delle persone incontrate".

L'arte diviene così riflesso della vita e il meraviglioso gioco del teatro lo strumento attraverso cui analizzare e conoscere le passioni e le pulsioni umane, le inquietudini e le paure, le aspirazioni e i desideri inconfessabili e inconfessati, al di là del bene e del male. "Siamo forma e loro vengono a darci il contenuto, come se fossimo pupazzi appesi al muro che aspettano qualcuno che li muova".

Una inedita versione di un classico del Novecento diventa un'occasione per indagare nei labirinti della mente e negli abissi dell'animo, ma anche di riscoprire quanto la materia pulsante di un dramma irrisolto possa raccontare della complessità del presente, dove il mito dell'eterna giovinezza impone la negazione del dolore e della morte, trasformando il senso di perdita in una ferita segreta.