Un libro di ricordi. Con lo sguardo rivolto al futuro.

Filo conduttore una speranza, mai urlata, ma in qualche modo sempre presente nelle 236 pagine del volume: Carnevale cagliaritano, perché non torni, come negli anni Sessanta, Sessanta e Ottanta, a coinvolgere e unire tutta la città in una grande festa popolare?.

Non solo nostalgia e parole, ma anche tanta voglia di fare: Gianfranco Carboni, l'autore del volume appena pubblicato intitolato "È morto Cancioffali, carnevali e maschere fra riti e tradizioni della Sardegna", è stato il promotore di una sfilata che l'anno scorso, con il coinvolgimento delle maschere tipiche di Seui e di altri centri dell'interno, ha cercato di riaccendere il desiderio e la voglia di Carnevale.

Viareggio o Rio come modelli: la sfilata era nata quasi per gioco e poi era diventata, più che una sfida ai maestri, una corsa a fare sempre meglio.

Poi il declino. Ma la "parata" di Cagliari che finiva con il rogo di Re Giorgio aveva - e forse ha ancora (queste le tesi espresse nel libro da esperti e protagonisti delle vecchie edizioni) - tutte le carte in regola per diventare insieme tradizione da mandare avanti e attrazione. Proprio per la sua unicità e il radicamento in vecchi e nuovi quartieri.

A cominciare dalla maschere come sa Gattu. Testimonianze e foto raccontano anche di Is Panetteras, Is Tialus, "figure" popolari, costruite con quel poco che c'era in casa. Ma che nei decenni avevano fatto breccia tra i cagliaritani.

Una giornata dove tutto era possibile: anche gli uomini si vestivano da donna quando il termine drag queen, racconta il libro, forse non era nemmeno stato nemmeno inventato.

Per non parlare della ipnotica colonna sonora, la Ratantira: tutta tamburi e rime in "casteddaiu". "Ha percorso la città - spiega Carboni nella prefazione - per decenni poi all'improvviso è sparito. Su Carnevali casteddaiu non è deceduto definitivamente, è vivo, è atteso, è irrisione, è sarcasmo verso i potenti, è libertà.

E forse proprio per questi motivi fa paura".