Oggi, venerdì 27 giugno 2025, l’Italia ricorda con dolore la tragedia del volo Itavia, precipitato nel 1980 nella rotte tra Ponza e Ustica. In quella drammatica serata persero la vita 81 persone a bordo del DC‑9 partito da Bologna e diretto a Palermo.

45 ANNI FA IL DRAMMA

A quattro decenni e mezzo dal disastro, le istituzioni non hanno restituito una verità definitiva su quanto accaduto quella sera nei cieli della Sicilia e i familiari delle vittime continuano a chiedere giustizia.

Era la sera del 27 giugno 1980 quando il volo IH870 della compagnia Itavia scomparve dai radar alle 20:59, mentre sorvolava il Tirreno tra Ponza e Ustica. A bordo del DC-9 viaggiavano 81 persone, 77 passeggeri e 4 membri dell'equipaggio: uomini, donne, bambini, diretti da Bologna a Palermo. Nessuno sopravvisse.

Quel che restò furono rottami sparsi in fondo al mare e un dolore collettivo destinato a trasformarsi in una delle più oscure ferite della storia della Repubblica. Da subito, le ipotesi si accavallarono, ma la verità si lasciò inseguire invano.

IPOTESI, SILENZI E DEPISTAGGI

Inizialmente si parlò di un'esplosione interna, forse una bomba. Poi si fece strada un’altra pista: un missile, lanciato da un caccia militare nell’ambito di un'operazione segreta nei cieli italiani. A oggi, 45 anni dopo, è proprio questa la tesi considerata più solida dalla magistratura: un aereo civile, abbattuto per errore o per coprire un’operazione militare nei cieli sovranazionali, in un contesto geopolitico turbolento e ancora mai completamente chiarito.

Nel 1999, il giudice Rosario Priore, nella sua istruttoria, parlò esplicitamente di “un atto di guerra in tempo di pace” e di una “verità indicibile”. Fu solo nel 2011 che il tribunale civile di Palermo condannò lo Stato italiano a risarcire i familiari delle vittime, riconoscendo che il DC-9 fu abbattuto da un missile e che le autorità italiane avevano omesso di garantire la sicurezza del volo e ostacolato per anni l’accertamento della verità.

In questi quattro decenni e mezzo, le parole chiave del caso Ustica sono rimaste due: silenzio e depistaggi. Intercettazioni cancellate, tracciati radar scomparsi, testimoni chiave deceduti in circostanze mai chiarite. E soprattutto, la mancata collaborazione da parte di paesi alleati — Francia e Stati Uniti in primis — che non hanno mai pienamente aperto i loro archivi né chiarito il ruolo dei loro velivoli presenti nello scenario del disastro.

"UN MISSILE PER UCCIDERE GHEDDAFI"

La più autorevole opinione sulla causa del disastro arrivò nel febbraio 2007 dal presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, all'epoca dell'incidente presidente del Consiglio, il quale attribuì la responsabilità involontaria dell'abbattimento a un missile francese lanciato da un velivolo dell'Aéronavale. Cossiga affermò di aver appreso la notizia dai servizi segreti insieme al ministro dell'Interno in carica nel 2007, Giuliano Amato.

Il missile, secondo la ricostruzione, sarebbe stato destinato a un velivolo libico su cui, a detta di Cossiga, si sarebbe trovato il dittatore libico Mu'ammar Gheddafi. Un'analoga tesi è alla base della conferma, da parte della Cassazione, della sentenza di condanna civile al risarcimento ai familiari delle vittime, emessa contro il Ministeri di Trasporti e Difesa dal Tribunale di Palermo. Nel settembre 2023, lo stesso Giuliano Amato ha confermato tale ricostruzione, dichiarando ai microfoni di La Repubblica che la strage fu conseguenza di "un piano per colpire l'aereo sul quale volava Gheddafi".

"NON C'È GIUSTIZIA SENZA VERITÀ"

La presidente dell’Associazione Parenti delle Vittime, Daria Bonfietti, da anni guida una battaglia per la trasparenza e la memoria. Oggi, in occasione del 45° anniversario, ha ribadito con forza: “La nostra non è una battaglia per il passato, ma per la dignità delle istituzioni democratiche. Non c’è giustizia senza verità”. Nel cuore di Bologna, il Museo per la Memoria di Ustica, dove è custodito il relitto dell’aereo, è diventato il simbolo di questa lunga attesa.

Lì, l’opera dell’artista Christian Boltanski, con le sue 81 lampadine che si accendono al ritmo del respiro, rende palpabile l’assenza, il dolore, e l’urgenza di risposte.

MATTARELLA: "DOVERE DI VERITÀ"

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in un messaggio inviato ai familiari, ha sottolineato: “La memoria della strage di Ustica appartiene a tutta la nazione. È dovere della Repubblica proseguire nella ricerca di ogni elemento utile a completare il quadro della verità storica e giudiziaria”. Ma la verità completa, ancora oggi, sembra fuggire.

UNA DOMANDA: PERCHÉ?

La procura di Roma, che aveva riaperto le indagini ipotizzando un coinvolgimento diretto di jet militari francesi e americani, ha chiesto l’archiviazione per mancanza di elementi processualmente sufficienti. E questo, per molti, è un nuovo dolore. Oggi, a Bologna, a Palermo, e in molte città italiane, si commemorano le vittime. Dopo quasi mezzo secolo, i nomi dei passeggeri del volo IH870 verranno letti uno a uno, come ogni anno. E come ogni anno, si rinnoverà la domanda: chi ha ucciso quegli 81 innocenti? Perché? E perché, dopo tutto questo tempo, nessuno ha pagato?

La strage di Ustica non è solo una tragedia. È lo specchio della fragilità dello Stato davanti alla ragion di Stato. Un buco nero nella storia democratica italiana. Un caso in cui la memoria collettiva ha dovuto sostituire la giustizia. Finché verità e responsabilità non verranno pronunciate, Ustica resterà un simbolo incompiuto. E un dovere civile, per tutti.