Le emergenze esistenziali del nostro pianeta sono tante e tali da fare inorridire coloro che attribuiscono all’uomo il diritto alla vita. Non tutti, sfortunatamente per gli uomini onesti,  la pensano in questo modo. In tal senso, chi teorizza la prevaricazione, il terrore o anche l’indifferenza verso i più deboli,  si muove così anche nei fatti. Le testimonianze di lutto sono quelle che riempiono quotidianamente le cronache della stampa internazionale, nazionale e locale, sempre che si riesca a sapere di tutti crimini che affliggono l’umanità.

I morti di Lampedusa rappresentano l’immagine più bieca della distorsione dei valori e dei diritti dell’uomo, la cui negazione non si presta a una graduatoria dell’orrore. Si annienta la vita delle persone e basta. Spesso nella totale indifferenza  generale, altre volte con meno distacco, ma con lo stesso risultato: non si interviene per strappare vite umane a una sorte segnata, ora dalla violenza individuale, ora dalle crudeltà di regime. La tragedia immane di Lampedusa è quella che si è consumata in un mare che ha inghiottito vite strappate alla voglia di vivere e in un oceano d’ insensibilità verso realtà già drammatiche e disperate prima ancora degli epiloghi funesti e terribilmente annunciati.

Le tragedie  che seminano la morte si possono evitare soltanto risolvendo a monte  le conflittualità dell’individuo o di un popolo. Il dolore non può essere limitato al momento del pianto davanti alle bare senza nome. Deve precedere i lutti e nascere di fronte alla fame, alla schiavitù e alla violenza che c’è nel mondo, in ogni dove. C’è un solo modo per rendere manifesto il dolore: la solidarietà degli uni verso gli altri. Il resto è ipocrisia, fatta di atteggiamenti effimeri e di parole che porta via il vento subito dopo l’ennesima tragedia.  

Serve, dunque, la mobilitazione dei popoli e degli individui più fortunati per concorrere all’estirpazione dei mali che si annidano nelle società  o nei contesti in eterno malessere. L’impresa non facile dell’uomo rivolta alla salvaguardia della vita dei suoi simili, è da considerarsi persino impossibile se continuerà a mancare o a essere parziale  la volontà di affrontarla. Al contrario, se prevarrà il senso della vita sulla morte, sarà invece possibile dare un significato all’esistenza, quella di tutti, senza distinzioni.  

In fondo, che senso ha impedire che nell’uomo prevalga il motivo per cui è venuto al mondo, che è quello di vivere, non di morire. E tra gli uomini, non c’è nessuno che sia nato diverso dagli altri, con maggiori o minori diritti di esistere. La voce accorata del Pontefice, che grida “vergogna”, richiama tutti a non essere indifferenti, perché l’indifferenza, quella di ciascuna di noi, uccide il prossimo così come le bombe, o altre armi, che, invece, in tanti vediamo unici strumenti di morte, in mano a colpevoli magari più facilmente identificabili.