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Che l’esecutivo di Enrico Letta poggi le sue fondamenta su un terreno marcatamente friabile lo testimoniano i partiti che l’hanno messo in vita. Infatti, non si lasciano sfuggire l’occasione per precisare che in assenza di compatibilità delle azioni di governo con i loro rispettivi programmi staccheranno la spina, ovviamente dopo aver orchestrato il tutto per scaricare le responsabilità della caduta gli uni sugli altri.
Così come sono già tutti pronti, anche o soprattutto, per prepararsi la corsa alle eventuali elezioni, ad attribuirsi i meriti di questo o quel provvedimento governativo che si rivelerà efficace per risolvere le emergenze del Paese.
D’altra parte, tutti i menù che sono sul tavolo del presidente del Consiglio rappresentano dei piatti ghiotti per chi ha sfruttato la fine della 1^ Repubblica allo scopo di rifarsi un palato camaleontico, ovvero senza quei filtri di stampo ideologico-massimalista troppo impegnativi per non farsi sfuggire tutte le opportunità politiche possibili. Insomma, se l’esperienza di Enrico Letta dovesse concludersi anzitempo per impotenza indotta o comunque manifesta del suo governo, gli elettori non fideisti avrebbero ancora una volta molte difficoltà a districarsi in una ragnatela, ai fini di una scelta tra i meno peggio, tessuta ad hoc dai nostri amministratori della cosa pubblica.
L’aria che tira, dunque, è sempre quella della diffidenza reciproca. Inoltre, in uno scenario in cui l’insicurezza e l’incertezza sono tutt’altro che estinte, lo stesso presidente del Consiglio, quasi depotenziando la grinta e l’energia di cui soprattutto i disperati di un Paese dalla spina dorsale minata dagli abusi gli fanno credito, ha già tenuto a precisare che la sua forza è solo quella che gli deriva sostanzialmente da un contratto a tempo e racchiusa, con tutti i limiti, nel documento programmatico presentato alle camere per ottenere la fiducia che poi è arrivata compatta con il sostegno di Pd, Pdl e Lista civica.