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Una preghiera per i marò

Durante l'angelus di domenica scorsa, papa Francesco ha recitato una preghiera per i due fucilieri di marina Salvatore Girone e Massimiliano La Torre. Ormai da 2 anni esatti detenuti in India, imputati dell'omicidio di due pescatori. Sarà sufficiente una preghiera per risolvere un problema di tipo internazionale come quello che coinvolge i due marò? Forse si, forse no!

Una preghiera per i marò

Di: Redazione Sardegna Live


Durante l'angelus di domenica scorsa, papa Francesco ha recitato una preghiera per i due fucilieri di marina Salvatore Girone e Massimiliano La Torre. Ormai da 2 anni esatti detenuti in India, imputati dell'omicidio di due pescatori. Sarà sufficiente una preghiera per risolvere un problema di tipo internazionale come quello che coinvolge i due marò? Forse si, forse no!

Ognuno di noi ha una percezione diversa del potere divino nel risolvere casi di questo tipo. Ma anche chi più di tutti considera la forza del potere spirituale invincibile, accompagna alla preghiera ben altre iniziative più terrene. La Santa Sede è infatti membro osservatore dell'ONU, l'organizzazione internazionale per eccellenza che raccoglie attorno a se quasi tutti gli stati del mondo. Non ha un potere legislativo mondiale, ma le sue risoluzioni sono sempre più spesso considerate regole di soft law. Dei suggerimenti “morbidi” che gli stati membri possono utilizzare per escludere nei loro comportamenti una responsabilità internazionale. In questa sede non possiamo valutare l'innocenza o la colpevolezza dei due militari italiani, ma solo fare delle constatazioni circa le regole internazionali che essendo fondate su base consuetudinaria non sono mai cosi certe, ma possono appunto essere sostenute da decisioni delle Nazioni Unite.

Cosi se il Vaticano oltre le doverose preghiere, stesse veramente operando a livello diplomatico, credo che tutti i militari italiani gliene sarebbero grati. L'aria delle caserme è infatti ultimamente molto tesa, da quando il nostro governo non è riuscito ad imporre le consuete immunità internazionali riconosciute solitamente alla funzione pseudo-diplomatica che i due fucilieri svolgevano. Per dovere di correttezza dobbiamo precisare che la questione delle acque internazionali di cui si parla spesso sui media, non è propriamente vera. Il fatto è accaduto in acque cosiddette contigue, nelle quali vige per lo stato costiero un potere di vigilanza che consente l'inseguimento di una nave addirittura sino alle acque propriamente considerate internazionali.

Ma è altrettanto vero che una regola detta di “Ius Cogens” internazionale, cioè una di quelle che nessuno stato può violare, vuole che per i reati compiuti a bordo di una nave (anche in acque territoriali, figuriamoci le contigue) lo stato costiero di riferimento rimanga escluso dalla giurisdizione.  Sorgerebbe dunque un problema di interpretazione: per l'Italia la giurisdizione indiana era esclusa perché i militari erano a bordo. Per l'India invece l'omicidio è avvenuto materialmente al di fuori della nave. In ogni caso la domanda che ci poniamo è questa: quale è stata la procedura che ha consentito l'arresto dei due marò? Le risposte possibili sono due. I marinai sono stati fatti scendere con l'inganno, oppure si sono consegnati consapevolmente. Se la risposta fosse la prima, già si evince una violazione da parte della Unione indiana di una regola internazionale cogente, che è quella del principio di buona fede che regola anche la formazione dei trattati internazionali. Se la risposta fosse la seconda, si rileva un palese peccato di ingenuità che forse altri vertici militari di diversa nazionalità non avrebbero permesso che accadesse. In un secondo momento poi le dimissioni del ministro Terzi indicano un pasticcio che andava forse affrontato con il metodo non scritto, che equivale al detto “pan per focaccia”. Cosi fecero gli Stati Uniti in occasione del rapimento, da parte di studenti iraniani, del personale dell'ambasciata americana di Teheran nel 1978. Per liberare gli ostaggi intervennero con gli elicotteri, incorrendo dunque a loro volta in una violazione delle regole internazionali. Furono però giustificati dalla particolare situazione di inerzia dimostrata dalla stato iraniano.

Anche la gestione postuma del governo italiano a distanza di due anni lascia parecchio a desiderare. Nel 1985 la Rainbow Warrior, una nave di Greenpeace ancorata nel porto di Auckland in Nuova Zelanda, fu fatta esplodere da due agenti dei servizi segreti francesi. L'organizzazione di pace internazionale forse si impicciava un pochino troppo degli esperimenti nucleari realizzati dalla Francia al largo dell'Atollo polinesiano. Anche li ci scappò il morto. Un fotografo olandese che, cercando di raccogliere le sue cose, affogò nell

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