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Perché non si strilla contro il genocidio armeno?

A cento anni di distanza dal primo genocidio della storia del '900 il pontefice, nella sua omelia, ricorda il tentativo di sterminio della razza armena. Iniziato nell'aprile del 1915, ad opera dell'impero Ottomano ormai destinato a dissolversi, terminò solo dopo la fine della prima guerra mondiale.

Perché non si strilla contro il genocidio armeno?

Di: Redazione Sardegna Live


A cento anni di distanza dal primo genocidio della storia del '900 il pontefice, nella sua omelia, ricorda il tentativo di sterminio della razza armena. Iniziato nell'aprile del 1915, ad opera dell'impero Ottomano ormai destinato a dissolversi, terminò solo dopo la fine della prima guerra mondiale. Si stimano almeno un milione e mezzo di morti, causati da deportazioni con i treni in stile nazista, fame e sete lungo il cammino dell'esilio, impiccagioni e fucilazioni di massa.

Tutto in nome di una pulizia etnica per la salvaguardia della razza. In realtà il timore di alleanze filo-russe e il benessere economico degli armeni si addensano all'origine del massacro collettivo. 

L'Armenia, il cui nome antico è Hayqstan che significa “Terra di Haik”, è una terra rigogliosa che ha dato vita ad una civiltà prospera e ricca ancora oggi immutata da millenni per lingua, cultura e tradizioni. Haik era il nipote di nonno Noè, noto per aver costruito e condotto la famosa arca che ha affrontato il diluvio universale. Secondo la genesi, defluito il diluvio, l'arca si sarebbe incagliata proprio sul monte Ararat.

Qui si profila un primo punto di scontro con la fede cristiana, la quale vorrebbe poter dimostrare che i resti lignei presenti sotto il ghiaccio delle pendici del monte più alto della Turchia, sono effettivamente appartenuti al “Titanic” di Noè. Ma nessuno può accedere al sito perché il governo non concede il permesso.

L'Armenia, fu il primo regno della storia ad adottare il cristianesimo quale religione di stato. Si comprende cosi l'importanza anche storica, per il capo della chiesa, nel rievocare il genocidio negato dai turchi. Già le cronache europee, all'epoca del massacro, lo descrivevano come uno dei più efferati della storia. Eppure chiunque in Turchia osi ricordare quell'abominevole carneficina rischia oltre 3 anni di carcere. Già nel 1976 lo storico turco Taner Akcam finì alla sbarra per averne parlato ai suoi studenti.

All'epoca vigeva la dittatura di Mustafà Kemal Ataturk, considerato il padre dei turchi, il quale ebbe comunque il merito di secolarizzare questa porta tra oriente e occidente, allontanando dal potere qualsiasi fanatismo religioso. L'attuale presidente della repubblica, lo stesso che ha oscurato YouTube, Twitter e imbavagliato la stampa arrestando i giornalisti dissidenti, è stato invece il fautore del ritorno alle cariche pubbliche di rappresentanti della religione islamica.

Suo dunque il merito di aver ridato vita a quello stesso fondamentalismo che, non lontano dai confini turchi e in una forma degenerata, sta distruggendo millenni di cultura e incatenando migliaia di persone a modelli di vita inconcepibili per chiunque abbia un briciolo di sano buonsenso in testa. 

Speriamo dunque (o preghiamo) che la strategia del presidente non si riveli una breccia che si squarci al passaggio dei fanatici dell'Isis. Un boomerang insomma, in vista delle elezioni, che Erdogan pensa di poter controllare convogliando i voti dei nazionalisti con la negazione spudorata;  montando ad arte la polemica con chi, seduto nella cattedra di Pietro, ha ricordato giustamente le sofferenze di un popolo che per alcuni non merita alcuna solidarietà solo perché era ricco e intraprendente.

Il rischio è quello di spalancare definitivamente le porte dell'occidente ai pazzi sanguinari che puntano la loro prua alla conquista di Roma. Ecco perché, forse, la comunità internazionale non tace, ma sussurra, anziché gridare al mondo quanto sia indignata...

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