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Il ricordo di Pierangelo Bertoli. Un “sardo” che soffia nel vento.

La vita non è stata totalmente generosa nei confronti di Pierangelo Bertoli, che invece la ricambiava con un grande amore profuso nelle sue canzoni animate da impegno civile e storie da raccontare.

Il ricordo di Pierangelo Bertoli. Un “sardo” che soffia nel vento.

Di: Redazione Sardegna Live


La vita non è stata totalmente generosa nei confronti di Pierangelo Bertoli, che invece la ricambiava con un grande amore profuso nelle sue canzoni animate da impegno civile e storie da raccontare.

Il cantautore emiliano ha “soffiato” sul mondo versi intensi e melodie che hanno lasciato il segno.

Ho conosciuto Pierangelo il 13 ottobre 1999 a Tonara, nei pressi della Chiesa campestre di Santu Giacu.

Eravamo li, insieme agli Istentales, per registrare la sigla di “Sardegna Canta” che allora conducevo.

Ci apprestavamo a rinnovare la forma e i contenuti della storica trasmissione televisiva e pensammo di iniziare proprio dalla “copertina”, scegliendo “Promissas”, cantata in lingua sarda con inserti di canto a tenore e il suono sordo dei campanacci dei Mamuthones di Mamoiada.

Il cantautore amava la Sardegna e amava stare tra la gente.

La sua calda umanità si “sentiva” nella stretta di mano possente, sincera, diretta.  

La sera di quello stesso giorno di ottobre accettò di partecipare ad un incontro tenutosi a Ovodda e aperto alla popolazione: senza compensi e con generosa disponibilità si regalò ad un partecipe confronto con le centinaia di estimatori accorsi all’ultimo momento nel piccolo auditorium del paese.

Il dibattito si lasciò trasportare dai rimandi della memoria e dai legami con la nostra isola frequentata già “negli anni di gioventù”, come li chiamava lui, da protagonista di grandi battaglie sociali che popolavano la stagione politica del tempo.

Collocò i suoi primi ricordi e la grande passione che li supportava in quegli anni ’70  non facili da attraversare e scanditi da un’attenta e puntuale denuncia, con il suo modo di stare vicino al popolo, sempre e solo dalla parte dei più deboli.

In quello stesso periodo cantava “Non potho riposare” con gli amici sardi, “portati addosso” per sempre.

In seguito a quell’incontro lo rividi altre volte: sia sventolare la bandiera sarda per “Sa die de sa Sardigna”, sia nelle sere piene dell’Anfiteatro di Nuoro tra le “Voci di Maggio”.

In una diretta che condussi per Videolina intervenne telefonicamente ribadendo ancora una volta di “sentirsi parte della nostra cultura”.

Gigi Sanna, che gli è stato amico,  mi ha raccontato in tante occasioni la “solitudine” di quell’uomo che, dietro l’artista “a muso duro”, scalava i gradini della sofferenza con crepe di fragilità.

A cuore nudo si sono versati l’uno sull’altro fiumi di confidenze, senza nessuna concessione ai rimpianti o a ciò che “sarebbe potuto essere”, e con  tanta voglia di remare contro il destino che avanza inesorabile e spesso con prepotenza.

Il telegiornale che nel giorno della sua morte annunciava la sua scomparsa diceva che “ultimamente l’artista aveva scelto di starsene in disparte”. Io non ci avevo creduto. In un ambiente che consumava tutto in fretta, dove l’immagine aveva il sopravvento sui contenuti, pensavo che probabilmente le sue canzoni non aderissero più alle “verità di plastica”.

Mi convinsi di questo avendo saputo che il cantautore aveva presentato al Festival di Sanremo, qualche tempo prima di morire, una canzone incisa con gli Istentales.

Aveva per titolo “Viene per noi”. Bellissima. Pubblicata alla fine nel disco del gruppo nuorese.

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